Viola Graziosi: “Viviamo in una società ancora prevalentemente maschile, malgrado le grandi battaglie conquistate dalle donne”

Viola Graziosi: “Viviamo in una società ancora prevalentemente maschile, malgrado le grandi battaglie conquistate dalle donne”

Viola Graziosi interpreta Aiace a teatro.

Un mologolo dove la protagonista è al centro dello spettacolo e, partendo dal mito, racconta una storia odierna.

Viola come ti sei trovata a rapprentare Aiace?

«Aiace » è un poemetto, un monologo, di Ghiannis Ritsos che, insieme a Kavafis, è il più grande poeta greco del 900. All’epoca dei Colonnelli, Ritsos usava i personaggi del mito per parlare della sua condizione, e sfuggire così alle censura. Aiace è il primo eroe suicida dell’antichità che si sente preso in giro dagli dei e dai potenti corrotti. Si confronta con il suo « Io » forte e temprato, coraggioso, e dopo essersi ridicolizzato fa i conti con la propria piccolezza, con la propria debolezza, dove forse risiede la sua forza più vera. E poi inspiegabilmente impugna la spada e mette fine alla sua vita. Ritsos descrive nella didascalia un uomo a terra in una cucina con piatti e bicchieri rotti e resti di animali, e sulla porta, di spalle, una donna che ascolta, silenziosa e leggermente adirata. Ecco, Graziano Piazza il regista è voluto partire da questa donna, testimone delle parole e delle gesta dell’eroe che non c’è più…per ripartire da lì. La donna abbandonata, attraversa il dolore dell’assenza, della separazione, ritrovando poi la sua centralità. Così invece di essere la storia di un suicidio, è quello di una rinascita, attraverso il femminile.

 

La mitologia ha sempre il suo fascino. Cosa vuol dire rappresentarla oggi?

Beh nel mito ci sono le radici di tutto. I progressi sono solo tecnologici, non tanto umani. È incredibile e commovente vedere che quello con cui combattiamo noi oggi nella nostra società contemporanea è identico a quello con cui si combatteva migliaia di anni fa. Dico “con” e non “contro”, appositamente. Perché la cosa più interessante è che questi sforzi ci appartengono in modo intrinseco, ci permettono di crescere e di conoscerci, e fanno parte della “natura delle cose”, come la terra e l’aria. Però il mito ci permette anche di mettere la giusta distanza per guardare meglio le cose che ci riguardano e riconoscerci attraverso uno specchio così antico. In questo caso poi Aiace appartiene alla mitologia. La donna che rivive le sue parole, le incarna fino a rigenerarle è fuori dal tempo, quindi è vicina a noi quanto a lui. Il mito è quel canale che ci fa essere in qualche modo più vicini a noi stessi, e ricrea vita.

Il lagame tra passato e futuro è ben presente. Come si collega?

In questo testo il linguaggio è poetico ma è anche molto vicino a noi, a un certo punto si parla della famiglia degli Atridi, di Ettore e Teucro, personaggi della mitologia, ma si parla anche di piatti, forchette e mollette per il bucato. È bellissimo come Ritsos metta insieme passato e presente facendo che l’uno sia un rimando dell’altro. È un linguaggio che suscita immagini e sensazioni molto forti, così come la scenografia musicale di Arturo Annecchino, dove passato e presente coesistono costantemente. E il pubblico insieme a me,  non può che essere nel momento presente.

Alla fine racconti di una donna di oggi. Quant’è difficile essere donna oggi?

Assolutamente si, è importante far sentire la propria voce. Viviamo in una società ancora prevalentemente maschile, malgrado le grandi battaglie conquistate dalle donne. A volte queste sembrano più vittorie formali che sostanziali. Io non mi ritengo “femminista” ma “femminile” e ci tengo a indagare questo aspetto in tutti i suoi meandri. Questo faccio attraverso i miei spettacoli e una serie di figure di donne che sto portando in scena ultimamente: madri, donne tradite, abbandonate, violentate, distrutte, fragili, perse, ma anche cannibali, vendicative, forti, guerriere, sensuali, erotiche, determinate, appassionate, amate, amanti…la Donna è tutto questo, si adatta alle forme, fa i conti con gli opposti che contiene in se. È una sensibilità liquida.

In questo caso specifico la figura femminile che porto in scena è una donna abbandonata, lasciata sola dall’uomo, il grande eroe, padre di suo figlio, a cui lei si è dedicata mentre lui l’accusa di non averlo capito, di non averlo aiutato, ma non glielo ha permesso. Non le ha mai chiesto aiuto. Il monologo, lo sfogo, il racconto ultimo di Aiace si indirizza direttamente a questa Donna. “Che cosa guardi, donna?” ripete lui incessantemente. Come se lei, ammutolita, fosse solo un’osservatrice, non un’ “attrice”, nel senso di colei che agisce. Ma con l’assenza dell’eroe suicida a lei non rimangono che le sue parole. Così il suo essere Testimone le permette pian pianino, affrontando il dolore, di rimettere insieme i pezzi e assumere il centro della scena diventando eroina dei nostri giorni! È un viaggio bellissimo, e un personaggio molto significativo per me, perché è stato il mio primo monologo e da lì ho iniziato a far sentire la mia voce.

silvestra sorbera

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