Lory, un romanzo molto autobiografico?
Lo definirei un romanzo di autofiction, ovvero un storia dove il protagonista è l’autore stesso e dove
elementi della vita reale di chi scrive si mescolano alla pura fiction in un gioco di sovrapposizioni e ripetuti
scambi tra realtà e immaginazione, verità e menzogna. È questo un approccio che caratterizza tutta la mia
produzione artistica, in particolar modo quella letteraria, ma anche quella musicale dove fanno la loro
comparsa personaggi e luoghi del libro, tutti elementi provenienti dalla mia reale esperienza di vita. Lo
stesso accade nella mia produzione visiva che ha la caratteristica di connaturarsi maggiormente agli aspetti
psicologici che soggiacciono al mio scrivere e produrre musica. Vita e menzogna si muovono assieme nel
percorso artistico a cui ho dato forma e mi piace pensare che il rapporto tra queste due parti sia essa stessa
l’opera.
Che differenza c’è tra scrivere testi per canzoni e un romanzo?
I testi delle canzoni, in “Torno per dirvi tutto” così come nelle mie precedenti pubblicazioni, sono
direttamente estrapolati dalle pagine dei romanzi a cui la produzione musicale è ispirata e questo apre
ovviamente una finestra a parte su un tema che è, già di per sé, molto interessante. La parola in musica è da
molti considerata “forma poetica”, per me è anche “forma narrativa”.
Così come raccontare non esclude affatto la possibilità di essere poetici, allo stesso modo credo sia possibile
narrare restando all’interno della misura di una canzone. La distinzione più chiara a tutti, fra i due fronti è
infatti in genere quella del dettaglio narrativo che una canzone non può del tutto contenere. Descrivere in
modo accurato può essere complesso nel respiro di un brano musicale eppure è possibile ridurre e
trasportare ogni singolo aspetto della pagina narrata all’interno del corpo canzone. In questo mio nuovo
lavoro non è raro imbattersi addirittura nel discorso diretto, cosa piuttosto insolita nel testo di un brano, ma
al contempo del tutto naturale e plausibile. Accade per esempio ne “Il silenzio delle parole”, la traccia
numero 6 del disco che credo ben sintetizzi l’idea del narrare in musica.
È stata una bella avventura?
Concepire e realizzare questo lavoro si è rivelata un’avventura davvero intesa e molto più impegnativa del
previsto. Spesso, sull’uscita di un disco, leggo affermazioni fatte con tono sofferto che suonano più o meno
come “è stato un viaggio impegnativo a cui ho dovuto dedicare ben sei mesi della mia vita” e, non voglio
apparire cinico o supponente, ma ammetto di ritrovarmi a sorriderne pensando che, per costruire un’opera
con un peso, servono anni. Ci sono anche progetti (in qualsiasi campo dell’arte) che possono nascere in
pochi istanti, qualche settimana o i famosi sei mesi, ma, quando hanno un valore, sono sempre preceduti da
anni e anni di lavoro, di ricerca e di ideazione (consapevole e non). Personalmente ho iniziato a progettare
“Torno per dirvi tutto” nel 2015 e sono entusiasta di essere riuscito completare questo percorso, di aver
resistito fino a qui senza mai abbandonare una visione che, in più momenti mi ha messo in profonda
difficoltà (pratica oltre che artistica) e che evidentemente doveva però crescere con me. Credo che ogni
opera abbia un tempo interiore che possiamo forzare solo fino a un certo punto e certe opere ne richiedono
di più. La bellezza (foss’anche quella che appare tale soltanto ai nostri occhi) richiede pazienza per essere
individuata e dare tempo alla ricerca è sempre una bella avventura che ripaga a prescindere.
Torni per dirci tutto. Qual è la tua verità che vuoi raccontaci?
Quando verità e menzogna si inseguono dichiaratamente, come accennavo prima parlando di autofiction, si
innesca sempre il paradosso di colui che, asserendo di mentire, sta dicendo invece tutta la verità. È un
concetto sul quale rifletto da tempo ed è sicuramente uno dei fili tesi a sorreggere il senso del titolo che ho
scelto per il lavoro. La volontà di aprire le porte sulla propria esistenza, facendo muovere fra le pagine
persone e luoghi profondamente legati alla propria esistenza, oltre a se stessi, è il mio modo “per dire
tutto”, per raccontare la mia verità che non è altro che la mia vita portata là dove l’esperienza incontra
l’immaginazione. C’è inoltre il grande tema della morte con particolare riferimento, in questo titolo così
come nei precedenti, al suicidio. Non solo il dialogo attorno a chi non c’è più, ma anche quello che mi sono
trovato a innescare con chi sta pensando di andarsene. Parlare di argomenti così delicati addizionandoli
ovviamente di aspetti letterari è per me, come per chi vive quel tipo di dramma interiore, un modo per
portare lo sguardo oltre il limite delle nostre esistenze e, in un certo senso, tornare per raccontarlo. Il chiaro
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