Marta Brioschi e il suo Gioco delle ombre

Marta Brioschi e il suo Gioco delle ombre

Marta Brioschi, scrittice di gialli ci racconta il suo ultimo romanzo dal titolo Il gioco delle ombre (Bestrong edizioni).
Marta ci parli del tuo romanzo Il gioco delle ombre?
È il secondo di una serie di libri gialli intitolata “I Misteri di Mae Son-Jun”, dal nome del protagonista, che è un autore di gialli franco-coreano.
Entrambi i romanzi, come i prossimi che integreranno la serie, sono auto conclusivi e possono essere letti in ordine sparso; tuttavia consiglio di leggerli in sequenza per apprezzare meglio lo sviluppo dei personaggi ricorrenti e le loro storie personali. Si tratta di gialli classici, cioè creati per coinvolgere il lettore nelle indagini, introducendo indizi che, se ben interpretati, possono infatti portare alla soluzione del caso. Si ispirano ai romanzi dell’età dell’oro del giallo, cioè a quello degli anni ’40 in particolare, e soprattutto ai romanzi della Christie. Il Gioco delle Ombre è nato proprio per essere un omaggio a quel tipo di romanzo e a quello scopo l’ho ambientato in Inghilterra, inserendo nella trama dei rimandi a quegli anni, gli anni ’40 appunto. Il motore della storia è una commessa ricevuta da Suzanne, la madre di Son-Jun. Lei è una stilista di moda e deve realizzare un abito da sera per una facoltosa cliente francese, che intende sfoggiarlo a una festa nella sua residenza inglese, nel Distretto dei Laghi. I tempi stringono, quindi Suzanne viene a sua volta invitata a trasferirsi per un mese a Hiraeth House, una casa per lei appositamente affittata e che è l’antica residenza di famiglia del quindicesimo Barone di Windermere, Lord Arthur Evans, ora in difficoltà economiche e ritiratosi in un cottage ai confini della proprietà. Qui la donna verrà raggiunta dal figlio e la sua nuova famiglia per una vacanza e mentre lei si dedicherà alla creazione dell’abito, la nobile dimora e il villaggio di Windermere diventeranno teatro di una serie di eventi misteriosi, forse risalenti a dei segreti legati proprio al barone e al suo passato. Segreti che solo il nostro Mae Son-Jun riuscirà a svelare…

È il secondo che ha per protagonista lo stesso detective. È stato complicato realizzare una trama così particolare?
Non direi complicato, ma il processo ha richiesto molta carta, parecchi post-it e pazienza nel cercare di comporre il tutto. Il fatto è che il mio modo di creare la trama gialla è un po’ insolito, nel senso che io creo una struttura principale molto scarna in cui ho più punti di domande che certezze. Diciamo che creo una rete di ipotesi e di sviluppi alternativi. Via via che scrivo, mi accorgo che un’ipotesi e un’alternativa acquistano maggiore peso e senso e allora vado per quella strada. A volte mi sbaglio e torno indietro, ma raramente. La storia in pratica si sviluppa  in corso d’opera. Per esempio, nel caso di questo libro, fino ad oltre la metà avevo tre ipotesi possibili per il colpevole, cioè non sapevo nemmeno io come sarebbe andata a finire la storia. A guidarmi è la psicologia dei personaggi che io definisco “seminali”. A parte i protagonisti e le comparse (che creo di volta in volta, se mi serve piazzare una pedina) gli altri personaggi sono omnipotenti, quando li immagino e appaiono sulla carta per la prima volta. Proprio come fossero cellule staminali, che possono diventare parte di un rene, così come di un dito, nel corso del loro sviluppo, i miei personaggi staminali possono diventare eroi o dannati, innamorarsi o uccidere… qualsiasi cosa. In fondo è così che succede quando incontriamo una persona. Abbiamo una sensazione a pelle sulla base di come si presenta, ma ci vuole tempo per iniziare a capire chi è veramente, quali sono i suoi pregi e i suoi difetti e ancora più tempo per scoprirne i talenti nascosti o i demoni interiori. Questi personaggi, immersi in un dato ambiente iniziano a crescere, a mostrare diversi aspetti del proprio carattere e mi indicano la via da seguire. Io li accompagno soltanto verso il loro destino.
Un discorso analogo vale per gli indizi, che sono di due tipi, utili e svianti. Alcuni indizi partono già con uno scopo preciso, gli altri sono neutri, sono dei segnaposto da attivare a seconda di come si sviluppa la storia. Per esempio, l’incontro di una determinata persona. Inizialmente potrebbe avere una valenza neutra, inserito come siparietto per conferire un certo ritmo narrativo, in seguito invece potrebbe assumere un diverso significato, divenendo indizio per la soluzione oppure una traccia che suggerisce al lettore supposizioni false. Tutto il lavoro di cui sopra comporta naturalmente che io ripassi più volte sul racconto per aggiungere o modificare dettagli allo scopo di mantenere coerenza. Ciò riesco a farlo solo se resto totalmente immersa nella narrazione e quindi mi attenga a una disciplina di scrittura regolare e quotidiana, altrimenti dimenticherei passaggi e dettagli preziosi. E purtroppo il livello di astrazione dalla vita reale che mi richiede la scrittura, quando arrivo alle fasi cruciali della narrazione, comporta che diventi distratta e venga percepita “assente” dai miei figli. che infatti mi prendono costantemente in giro per i miei lentissimi tempi di reazione. Questo sì, può diventare complicato da gestire!
Come mai hai scelto il filone del giallo psicologico coreano?
La psicologia è una fonte inesauribile di ispirazione, per me. Tutto nasce dalla psicologia dei personaggi ed è un tema che mi interessa da sempre. Poi, tutta l’Asia in genere mi affascia sin da quando ero piccola. Unire nelle mie storie due culture distanti mi permette di arricchire e diversificare maggiormente i miei personaggi e offre al lettore spunti di riflessione sul modo in cui osserviamo la realtà che ci circonda. In particolare, ho pensato a un protagonista con provenienza sudcoreana perché mi serviva una certa fisicità del personaggio e visto che io sono un’appassionata di K-drama, mi sono fatta ispirare da una delle sue stelle, l’attore Jang Keun-Suk, i cui personaggi nelle serie in cui ha recitato mi hanno offerto più di uno spunto per costruirne anche il carattere.
Quanto tempo dedichi alla scrittura?
Dipende. Se sono sola e ho tempo, circa sei ore al giorno. All’estremo opposto, ci sono giorni in cui scrivo solo due ore.
Ci sarà un terzo volume?
Certamente sì. S’intitolerà Ballo in Fa MInore o Danza Macabra (questo lo lascerò decidere ai lettori) e vedrà il ritorno di Chantal, che abbiamo già visto ne La Casa Gialla e ha fatto un piccolo cameo nel finale de Il Gioco delle Ombre. Nel frattempo però, sempre per Be Strong, uscirà a novembre un altro libro giallo non incluso nella serie, ambientato in una piccola provincia del nord Italia e con altri personaggi, che sto ultimando in questi giorni.
silvestra sorbera

Lascia un commento