Andrea Rizzolini e le sue infinite passioni

Andrea Rizzolini e le sue infinite passioni

Andrea ci racconti della tua passione?

L’illusionismo è una passione che mi ha colto sin da piccolo, poi si è evoluta nel corso degli anni
avvicinandosi sempre di più ai miei altri interessi per il teatro, la letteratura e la filosofia. Non è
sempre stato facile però accettare questa passione. D’altronde, l’illusionismo – specialmente Italia
– non è considerato come una forma d’Arte, e anche qualora lo fosse verrebbe sempre messo in
secondo piano da altre forme d’Arte ritenute più umane, più degne di parlare della nostra
umanità. Ancora adesso, dopo tutti questi anni, sto imparando a mettere a tacere questi pregiudizi
che io stesso nutro nei confronti del mio lavoro, per indagare in modo libero tutte le potenzialità
espressive di questo linguaggio la cui grammatica sono le illusioni.

Quando è iniziata?
È tutto nato quando, a 10 anni, ho guardato una videocassetta registrata da mio nonno nel ’94
dove era contenuto uno speciale televisivo che era stato realizzato per il primo tour di David
Copperfield in Italia. Mi ricordo, in particolare, l’esperienza che io provai quella sera, quando vidi
per la prima volta David Copperfield volare sul palcoscenico, proprio come io sognavo di fare da
bambino. Adesso che ci penso è proprio lì che è iniziata quella riflessione che ha portato alla
creazione di “Incanti”, lo spettacolo che sto attualmente portando in scena. Infatti, ciò che mi
aveva colpito degli spettacoli di Copperfield, e dell’illusionismo in generale, era la capacità di
toccare in modo concreto tutto un immaginario che solitamente è relegato alla sfera dei sogni,
dell’onirico, mostrando che la distinzione tra ciò che è reale e ciò che non lo è, in effetti, è molto
più sottile di quanto pensiamo. Proprio con questo intento, ogni sera prima dell’inizio di “Incanti”
chiedo al pubblico di scrivere un sogno o un incubo avuto recentemente su un foglio di carta e
durante ogni spettacolo mi propongo di fare diventare realtà uno di questi sogni… o incubi!
Come si diventa mentalisti?
In realtà non c’è un percorso da seguire preciso né un’accademia da frequentare. Il punto è che
secondo me c’è molta confusione rispetto a ciò che un mentalista è e deve essere. I mentalisti non
hanno incredibili doti di lettura del linguaggio del corpo o di comunicazione subliminale, sono
semplicemente molto bravi a far finta di averle, e secondo me è proprio questo pretendere la
parte più interessante del mentalismo. All’atto pratico, ciò che differenzia un mentalista da un
classico illusionista è il “trucco” – se così vogliamo chiamarlo – che sa dietro le loro performance.
Se, da una parte, l’illusionista classico utilizza specchi, botole, scatole truccate per realizzare le
proprie illusioni, il mentalista utilizza innanzitutto e per lo più le parole. Quando lavoro ad un
nuovo spettacolo mi piace pensare che se soltanto le persone potessero leggere il mio copione da
una prospettiva diversa da quella a cui quelle stesse parole li costringono potrebbero capire
esattamente il “trucco” che risiede dietro ad ogni mia performance. In questo senso, la mia pratica
artistica è completamente indistinguibile dalla mia formazione in campo letterario e, soprattutto,
filosofico. Quando mi viene chiesto quali libri leggere per incominciare ad approcciarsi al
mentalismo io rispondo sempre: “1984” di Orwell, “Così è se vi pare” di Pirandello e le “Ricerche
Filosofiche” di Wittgenstein, perché questi libri spiegano in modo molto chiaro come la nostra
percezione di che cosa è reale non possa essere separata dalle parole che usiamo per rapportarci
con la realtà. Orwell in “1984”, addirittura, spiega come fare volare una persona usando le parole!
In cosa consiste il tuo spettacolo?
Attualmente sto portando in scena “Incanti”, uno spettacolo corale che mi vede in scena assieme a
cinque dei più giovani e più premiati illusionisti italiani, nonché cinque dei miei più cari amici. È
​uno spettacolo che io ho scritto appositamente per loro e con loro, partendo proprio da tutte le
insoddisfazioni che nutrivamo nei confronti della nostra Arte e del modo in cui viene percepita in
Italia. Per questo motivo, ho deciso di scrivere un testo che fosse capace di mostrare come il
nostro linguaggio artistico fosse capace di affrontare temi e problemi che sono da sempre stati al
centro della riflessione teatrale. Lo spettacolo ha inizio con quella famosa frase tratta da “La
Tempesta” di Shakespeare secondo cui “siamo fatti anche noi della stessa sostanza di cui sono fatti
i sogni”, e cerca di rispondere alle domande che sorgono spontanee quando ci si interroga sul
significato di questa frase. Qual è la sostanza di cui sono fatti i sogni? Qual è la sostanza di cui noi
stessi siamo fatti? Questo vuol dire che la vita non è nient’altro che un sogno? Il modo in cui ci
proponiamo di farlo è accompagnando gli spettatori attraverso un percorso tra alcuni dei più
grandi autori del teatro – Pirandello, Goethe, Pedro Calderon de La Barca, Tennessee Williams –
dove le loro riflessioni introducono le performance che via via sia alternano sul palcoscenico.
Più amato dai grandi o dia piccoli?
Il nostro obbiettivo era creare uno spettacolo che potesse essere amato da entrambi, ma è
soprattutto sui grandi che ci siamo concentrati. Perché sono i grandi ad avere un pregiudizio, del
tutto giustificato a nostro avviso, nei confronti dell’illusionismo. D’altronde, sono gli stessi
illusionisti a non trattare la loro forma d’Arte come tale e quindi non c’è da stupirsi se poi le
persone non vedano nell’illusionista un’artista capace di parlarci della nostra umanità. Nel nostro
piccolo ciò che cerchiamo di dimostrare ogni sera è che le cose non devono essere così
necessariamente, che uno spettacolo di illusionismo può calcare il palcoscenico di un teatro di
prosa senza sentirsi fuori luogo proprio perché siamo profondamente convinti che un’illusionista
possa farsi carico di domande molto più profonde del semplice “come ha fatto?”. In questo senso,
il più bel complimento che ho ricevuto dopo uno spettacolo è stato proprio: “non pensavo che uno
spettacolo di illusionismo potesse essere anche questo”. Perché purtroppo è così, le persone non
lo pensano. I bambini, invece, sono molto più sensibili a tutto questo: loro sanno già che la realtà è
più di quello che sembra, e vedere uno spettacolo come il nostro è semplicemente una conferma
di qualcosa che sanno già. Non a caso Pascoli – che tra le righe cito durante tutto lo spettacolo –
parlava di quanto fosse importante riscoprire il “fanciullino” che c’è in ciascuno di noi per
riscoprire nelle piccole cose di cui è fatta la nostra quotidianità la capacità di meravigliarci di ciò
che, troppo spesso, diamo per scontato.
silvestra sorbera

Lascia un commento